L'importanza di una corretta illuminazione nell'ambiente di lavoro



Rieccomi, dopo una piccola sosta. In questi giorni mi sono ricapitati in mano alcuni testi di quando, pochi anni fa, studiavo all’Università. In particolare alcuni scritti che riguardano l’ambiente di lavoro, con anche delle annotazioni di carattere psicologico che mi sono sempre interessate particolarmente, visto che la mia prima tesi di laurea è stata in “Filosofia delle Scienze Sociali”, con uno studio sulle differenze tra il pensiero di Freud e quello di Jung nei confronti dell’arte dello scrivere.

Ora, tornando all'argomento appena enunciato, partiamo dalla realtà statunitense, che, come è noto, è stata sempre prolifica di studi e ricerche nel campo della psicologia del lavoro.
Negli USA, fin dagli anni trenta, si sono sviluppati molti studi sull’efficienza lavorativa, alcuni sono riportati da A. Anastasi nei suoi scritti sulla psicologia industriale, cui attingo sinteticamente. Uno degli argomenti, tra i tanti, su cui sono state fatte ricerche e sperimentazioni  è quello dell’ambiente di lavoro. Per ambiente si intende qui l’ambiente fisico, il luogo in cui si trova il lavoratore ad esercitare le sue funzioni, cioè l’ufficio, il laboratorio, la fabbrica.
Alcuni dei temi presi in considerazione dai ricercatori sono stati l’influsso dell’illuminazione e della temperatura sull’efficienza e sulla produttività, nonché sul benessere dei dipendenti.
Gli studi fatti sull’illuminazione hanno riguardato principalmente l’intensità e la distribuzione della luce.

Per quanto riguarda l’intensità della luce, prima Hawthorne, poi M.Luckiesh e M.A.Tinker (citati da A. Anastasi) hanno indagato sull’influsso delle varie gradazioni di illuminazione sull’acutezza visiva e sulla tensione dei muscoli oculari durante l’attività lavorativa.

Per quanto concerne l’acutezza visiva, pare ovvio che mostri un continuo miglioramento man mano che aumenta l’illuminazione, miglioramento che si ripercuote positivamente su quelle attività che sono principalmente visive.
Tuttavia non è sempre così, perché la quantità di luce necessaria per vedere chiaramente varia a seconda delle caratteristiche dell’attività che si deve svolgere e della persona che ne è coinvolta.
Si è verificato che minore è il contrasto fra gli oggetti da distinguere, maggiore è l’illuminazione necessaria.   Ad esempio, per vedere con chiarezza oggetti o scritte nere su uno sfondo grigio è necessaria un luce maggiore che per identificare gli stessi su sfondo bianco.

Anche le caratteristiche individuali influiscono sull’esigenza della quantità di luce. Le persone miopi o con altre problematiche visive possono migliorare il loro rendimento con una maggiore illuminazione, mentre quelle affette da ipersensibilità alla luce hanno bisogno di minore illuminazione.

Conseguenze? I vari studi al riguardo hanno dimostrato che quando migliorava l’illuminazione migliorava anche del 35 per cento il rendimento lavorativo; lo stesso accadeva per la diminuzione degli errori e, in fabbrica, degli incidenti.

Non solo l’intensità, ma anche la distribuzione della luce, la sua uniformità, ha una non trascurabile  importanza.
C.E. Free e G. Rand nei loro esperimenti hanno constatato che la scorretta distribuzione della luce può produrre abbagliamento e, di conseguenza, stanchezza visiva, scarso rendimento e, nelle fabbriche, maggiore probabilità di avere incidenti.
L’abbagliamento può derivare dalla presenza nel campo visivo di sorgenti di luce diretta o da un notevole contrasto di luminosità tra due superfici. Tutto ciò provoca continui sforzi ai muscoli oculari, sottoposti così ad un continuo adattamento  cui consegue un aumento della stanchezza visiva.
Da esperimenti fatti è emerso che con luce indiretta e con illuminazione diffusa, vi è stata poca perdita di acutezza visiva nel corso ben di tre ore di lettura, mentre con luce semindiretta, e ancor più con luce diretta, la diminuzione di acutezza era molto netta.

In definitiva la minore perdita di efficienza visiva si aveva quando nessun apparecchio per l’illuminazione era visibile dal soggetto, mentre la perdita aumentava progressivamente quando erano visibili due o più fonti di luce.

Infine si è constatato che anche l’atteggiamento degli impiegati migliorava con il miglioramento della visibilità. Quindi, considerando i risultati di queste ricerche anche semplicemente da un punto di vista pratico,  non si può che concludere che è sempre desiderabile qualunque intervento, in questo caso per un miglioramento della visibilità durante l’attività lavorativa,  che faccia aumentare  la soddisfazione nel lavoro e, quindi, la produttività.

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